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Luca Bertasso
"Autoritratto" 2002
Olio su tela 120x150 cm |
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Luca
Bertasso "Autoritratto a Barbados" 2003
Olio su tela 120x150 cm |
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Luca Bertasso "Cent'anni di Solitudine"
2002
Olio su tela
120x150 cm |
L'ENIGMA DELLO SPECCHIO
di Mimmo Di Marzio
Luca Bertasso è un giovane artista
controcorrente
e forse solo per questo meriterebbe
l'attenzione
della critica. Controcorrente
non soltanto
perchè sceglie come media privilegiato
la
pittura che da tempo rappresenta
un linguaggio
sempre più desueto tra le cosiddette
nuove
generazioni. Ma perchè, per quanti
sforzi
si possano fare, è ben difficile
riconoscere
nel lavoro di Luca quei caratteri
linguistici
e tematici che contraddistinguono
la cosiddetta
nuova pittura. Quella, per intenderci,
in
cui siamo abituati a imbatterci
nelle gallerie
di pittura e nelle fiere d'arte.
Anzi, verrebbe da dire che il
primo istinto,
entrando nel suo studio, ci porterebbe
ad
esclamare, come di fronte a un
primitivista
di fine '800: "Ma dove è
vissuto costui
fino ad oggi? Da quale periferia
esotica
o dell'iperuranio attinge la
sua estetica
infantile e un po' naif ma al
contempo così
carica di archetipi? Eppoi, di
quali archetipi
stiamo parlando?".
Come nella decifrazione di qualunque
enigma,
perchè di enigma sia ben chiaro
si parla,
è opportuno procedere empiricamente
e dunque
per gradi. Nella fattispecie,
occorre anzitutto
sfatare il primo equivoco, e
cioè quello
dello stile. Accostarsi al lavoro
di Luca
secondo parametri meramente stilistici
sarebbe
un grave errore, primo perchè
si correrebbe
il rischio di incappare in qualche
anacronismo,
eppoi perchè resteremmo spiazzati
sul piano
poetico e narrativo. È invece
fondamentale
resistere al canto delle sirene
dei suoi
colori sfavillanti e del disegno
ossessivamente
elementare per rendersi conto
che si è ben
lungi, con Luca, da una "pittura-pittura"
e men che meno l'artista può
essere comunemente
catalogabile tra i "figurativi".
Di fatto, Luca utilizza semplicemente
tela
e pennelli (ma potrebbe servirsi
di qualunque
altro mezzo, come la fotografia,
il video
o gli oggetti) con lo scopo di
"vestire
l'idea in forma percettibile",
per usare
un'espressione del poeta Jean
Moreas nel
suo Manifesto dei Simbolisti
nel 1886.
Rapportarsi a Luca e al suo universo
artistico
nella consapevolezza di trattare
con un simbolista
del ventunesimo secolo è il primo
passo necessario
per riconoscere il valore e la
contemporaneità
del linguaggio che dà vita alle
composizioni.
Caratteristica comune a tutti
i simbolisti
della storia, anche le complesse
narrazioni
di Luca (meglio narrazioni che
"dipinti")
non aspirano mai a rappresentare
le apparenze
ma ad esprimere "l'Idea",
con l'immaginario
a giocare perennemente un ruolo
dominante.
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Luca Bertasso "Chemical Brothers"
2003
Olio su tela
150x120 cm |
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Luca Bertasso "Cocaine Nine" 1998
Olio su tela
120x150 cm |
Così, anche per lui, principio fondamentale
diventa quello della "corrispondenza",
ovvero la presa di coscienza
dell'opera d'arte
come ri-velazione e salto di
qualità rispetto
all'esperienza umana sensibile.
In confronto
al primo periodo, quello degli
anni '80,
in cui Luca attingeva ai personaggi
della
quotidianità (e della cronaca)
per esprimere
in maniera selvaggiamente espressionista
l'anima nera e gli incubi della
società degli
uomini, oggi assistiamo ad una
muta carrellata
di composizioni surreali dove
le icone della
realtà si rapportano senza alcun
senso apparente
a citazioni trasversali oscillanti
tra il
mito e la fantascienza. A suggellare
i suoi
rebus, ecco gli inserimenti verbali
e una
titolazione che l'artista frappone
non si
sa bene se per giustificare l'illusorietà
del racconto o per un divertito
ulteriore
depistaggio dello spettatore.
In fondo, i presupposti di Luca
poggiano,
a ottant'anni di distanza, sul
messaggio
di André Breton che vedeva nel
Surrealismo,
quell'"automatismo psichico
puro col
quale ci si propone di esprimere,
sia verbalmente,
sia per iscritto, sia in qualsiasi
altro
modo, il funzionamento reale
del pensiero"
cioè fondato "sull'idea
di un grado
di realtà superiore connesso
a certe forme
di associazione finora trascurate,
sull'onnipotenza
del sogno, sul gioco disinteressato
del pensiero".
Ma sarebbe troppo facile dichiarare
Luca
un epigono di tutti quegli artisti,
da Max
Ernst a De Chirico, che configuravano
l'arte
quale "modello puramente
interiore",
ovvero con il risultato dell'immediata
corrispondenza
tra inconscio e gesto creativo,
al di fuori
dal controllo morale o razionale
della coscienza
e di canoni estetici prestabiliti,
ma semplicemente
traducendo in termini plastici
l'attività
dell'inconscio.
Più interessante trovo che sia
soffermarsi
sul mondo di simboli di cui sono
affollati
i suoi racconti visivi e che,
tutt'al più,
ci rimandano a quella cosiddetta
"ars
magna", così come veniva
definita l'alchimia
dai suoi discepoli che certo
non a caso si
autodefinivano artisti, poeti
(poietès) o
filosofi come l'espressione paradigmatica
dell'attività artistica.
I motivi dell'iconografia alchemica
emergono
costantemente nell'opera di Luca
quasi indipendentemente
dalla sua volontà, come se non
fosse l'artista
a dar vita al simbolo ma, al
contrario, egli
stesso subisse il simbolo che
gli si impone.
Fu lo stesso Breton del resto
ad affermare
che "Il sentimento di essere
mosso,
per non dire giocato, da forze
che superano
le nostre non smetterà di farsi
più acuto
e più invadente nella poesia
e nell'arte:
è sbagliato dire: "Io penso";
si
dovrebbe dire "mi pensano"";
e qui Breton riprende i termini
di Rimbaud
e Jung, che a sua volta osservava
come si
possano dipingere quadri molto
complicati
senza aver la minima idea del
loro vero significato
e che alcuni motivi archetipici,
frequenti
in alchimia, sono presenti nei
sogni o nelle
opere di individui che non hanno
la minima
conoscenza della letteratura
alchemica.
Tra i simboli ricorrenti nel
lavoro di Luca,
forse non sempre consapevolmente,
c'è anche
quello dello specchio ovvero
dell'autoritratto
che fa capolino nelle composizioni
come carattere
essenzialmente "gnostico"
e contemplativo.
Il mito di Narciso, ben colto
nella critica
di Andrea Beolchi, corrisponde
al dramma
stesso dell'artista e della impossibilità
di comunicare, di corrispondere;
o, meglio,
è l'istituzione di una molteplicità
di forme
di specularità che non implicano
comunicazione:
la simmetria, la specularità,
la corrispondenza.
Ma lo specchio, come afferma
Titus Burckhardt,
è anche il simbolo più diretto
della visione
spirituale, la contemplatio,
e in generale
della gnosi, "giacchè attraverso
di
esso si trova concretizzato l'avvicinamento
del soggetto e dell'oggetto".
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Luca Bertasso "Cocaine Seventeen"
2000
Olio su tela
120x150 cm |
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Luca Bertasso "Cocaine Sixteen"
1999
Olio su tela
120x150 cm |
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