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Arianna Piazza "cavolfiore" 2009
acrilico su tela cm. 100 x 120
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Arianna Piazza "S.T." 2007
tecnica mista su tela cm. 80 x 120 |
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Arianna Piazza "disinfettante"
2008
acrilico su tela cm. 100 x 150 |
Pittura di forme.
L'opera di Arianna Piazza si
presenta così,
come un lavoro continuativo di
studio della
forma in un processo di trasformazione
di
un qualcosa mai troppo uguale
a se stesso,
ma neppure troppo diverso. E'
un lavoro che
si potrebbe definire di "evoluzione
della forma". E non a caso
infatti l'origine
di tutta l'opera sta nell'interesse
per quelle
forme viventi che stanno all'origine
della
vita o che comunque mantengono
un aspetto
poco articolato, primordiale.
E' il caso
delle cellule, dei batteri, dei
virus, ma
anche degli invertebrati, in
particolare
delle meduse, delle lumache marine
- dei
cosiddetti "branchiati"
- e infine
degli insetti. Si guarda alla
scienza, a
ciò che la scienza ha permesso
di conoscere,
a ciò che ci ha mostrato del
nostro mondo,
a quella scienza che ha portato
a galla tutto
un mondo sconosciuto. Essa non
viene dunque
indagata nei suoi principi e
nelle sue teorie,
bensì in ciò che ha reso visibile.
L'artista
si interessa di forme e colori
e se si rivolge
alla Microbiologia è solo per
indagare meglio
questo mondo infinitamente piccolo
ma ciò
nonostante così ricco di immagini.
E' solo
per farsi affascinare da chi
forma e colore
sa "fare" esattamente
e meravigliosamente.
Questa Natura che nella sua continua
evoluzione
offre e offrirà sempre creazioni
magnifiche.
Il pennello della Natura.
La scienza viene presa dunque
come puro pretesto;
nessuna dichiarata posizione
pro o contro
essa, perlomeno apparentemente.
Ma è proprio
così?
Protagonista assoluta dei quadri
è sempre
la forma. Forma che si spinge
sempre ai limiti
della figurazione senza mai raggiungerla.
Cioè noi non vediamo una semplice
forma,
ma neppure una figura ben precisa.
Non possiamo
dire di vedere un "cavolfiore",
un' "infezione", un
"disinfettante"
o una "scarpetta" nella
loro morfologia
specifica, ma neppure di non
riconoscere
nulla. Spesso si possono intravedere
paperi,
polmoni, o fegati, o "qualcosa
di simile
a". La forma non è mai completamente
irriconoscibile, mentre non si
riconosce
una figura precisa. E qui sta
un vero e proprio
gioco di ibridazione, di mescolanza,
di creazione
fantastica. E tutta l'opera di
Arianna Piazza
è intrisa di questo gioco: giocare
a inventare
nuove formazioni, nuovi organismi,
nuove
"cose" che non esistono
ma che
esistono invece in una continua
evoluzione
autonoma dal mondo (ma non troppo).
Come in una continua "evoluzione
scientifica
del fantastico".
Come la Natura "gioca"
al bricolage
[Francois Jacob, Il gioco dei
possibili,
p. 61], così l'artista gioca
alla creazione
fantastica. Due mondi paralleli,
ma non entrambi
possibili. La Natura gioca cioè
col virtuale,
la pittura no. Essa si evolve
storicamente
in un modo, ma che è uno dei
tanti in cui
avrebbe potuto evolversi. Tutti
quelli esclusi
rimangono cioè virtualmente possibili.
La
pittura di Arianna Piazza invece
non può
essere virtuale perché resta
entro l'ambito
della fantasia. Non presenta
uno dei vari
modi in cui avrebbe potuto evolversi
la Natura,
semmai presenta uno dei tanti
modi in cui
può evolversi la "fantasia
della Natura".
E' creazione che resta sempre
su un piano
autonomo, autosignificante. Non
parte da
premesse scientifiche reali,
ma lavora semplicemente
sul piano della fantasia. Per
questo è un
gioco. E per questo non può essere
fantascienza.
Il "fantastico" cioè
non è qui
in quanto fantascientifico, ma
in quanto
fantasioso. Non ci sono congetture
specifiche
o assiomi pseudoscientifici sui
quali una
fantascienza può nascere ed esistere
autosustanziandosi.
Non si inventano nuovi principi
di creazione,
non c'è un nuovo "disegno
scientifico
del mondo". C'è un semplice
"giocare
a riscrivere le forme della Natura".
Ma che non deve prendersi come
gioco necessariamente
positivo.
I quadri di Arianna Piazza possono
essere
visti allora come una lente:
come uno strumento
di ingrandimento di questi organismi
viventi
fantastici. D'altra parte, nella
realtà,
la stessa Microbiologia non fa
altro che
lavorare a ciò che è ingrandito
al microscopio,
mentre l'artista lavora su ciò
che è ingrandito
dalla fantasia.
I lavori presentano quasi sempre
una forma-figura
in primo piano che si staglia
su un fondo
mantenuto volutamente piatto,
mosso da ampie
pennellate che accennano ad una
pittura gestuale
e talvolta al dripping. Più recentemente
compaiono dei cerchi colorati,
più o meno
grandi. Anche se le pennellate
di fondo possono
mescolare anche più di un colore
(giallo
e rosa, blu e verde, grigio e
rosso) lo sfondo
vero e proprio resta tendenzialmente
su una
tonalità. Prevalentemente sul
bianco. Per
cui l'effetto che si crea è quello
di un
organismo che più o meno velocemente
è entrato
nel campo visivo del quadro per
rimanerci
o per andarsene. Ma non solo:
alle volte
sembra essere di fronte a qualche
non specificata
connessione (neuronale? vaso-capillare?
cellulare?)
Questi "esseri" ora
sono lenti,
sospesi, come galleggianti, ora
sembrano
come schizzare nel quadro da
fuori, spinti
da chissà cosa, da chissà quale
forza. E
non sappiamo neppure dire precisamente
dove
essi siano: un luogo isolato,
una zona, un
"posto" qualsiasi,
un angolo (di
cosa?), sotto/sopra un groviglio
(di cosa?).
Dove sono?
Sono forme che se inizialmente
si rifanno
più alla morfologia degli esseri
viventi
come cellule, batteri, o comunque
forme biologiche
- come per esempio nei vari Ibrido
n.3, n.5,
n.6, in Sistema immunitario difettivo,
o
nella serie dei Microbi - via
via si avvicinano
a forme visive oggettuali, senza
per questo
riprodurre l'oggetto. In queste
opere troviamo
cioè un'indicazione, una forma-indice
di
qualcosa. Non a caso poi sono
i titoli a
far chiarezza: ad un "Senza
titolo"
segue sempre un'indicazione tra
parentesi
appunto. Come a suggerire, non
certo a definire.
Anche perché per quanto ci si
possa riferire
ad un oggetto di conoscenza comune
non si
trova mai di fronte l'oggetto
nella sua descrizione
morfologica precisa. Come detto,
è pur sempre
fantasia. Per cui, una "teiera"
o delle "gambette femminili"
non
sono mai abbastanza tali.
Non meno importante dello studio
della forma
è l'uso dell'aerografo. Infatti,
il particolare
effetto di tridimensione di questi
"esseri"
è tutto dovuto ad esso, per cui
diventano
dei veri e propri corpi plastici
che riescono
a imporre se stessi nel fluttuo
dello spazio
indistinto. L'aerografo riesce
cioè a renderne
la densità, non solo il volume.
Li rende
gommosi, gelatinosi, qualcosa
di simile ad
un magma, ora più solido, ora
più liquido.
Ed in questa resa della densità
il fondo
informale ed indistinto si presta
bene a
ridarne lo slancio, anche perché
molto spesso
le linee suggeriscono una direzione
spaziale
di movimento. La tecnica usata
è tendenzialmente
mista, su tela, con una preferenza
verso
il colore acrilico, che nello
sfondo diviene
molto diluito e gestuale. I quadri
del primo
periodo si caratterizzano anche
per l'uso
della fusaggine (salice bruciato)
che rende
l'ambientazione "fumosamente
plumbea".
Ma una piccola produzione riguarda
anche
opere su carta, che si sviluppa
in due diversi
momenti e con esiti differenti.
Tutto concorre all'accentuazione
della densità
di questi corpi, anche i rapporti
cromatici.
Le forme sono sempre cromaticamente
ben definite
nella loro massa con colori poco
aderenti
al reale. Spiccano blu, marroni,
grigi opachi,
verdi e viola, mentre i contorni
sono sempre
rimarcati con uno sfumato nero,
ad accentuare
lo slancio del "corpo"
verso il
primo piano.
Interessante è il fatto che i
titoli delle
opere nascono a conclusione del
lavoro. Si
lascia libera la creatività,
la si sperimenta
nelle sue forme e nei suoi colori,
e alla
fine si prende coscienza di ciò
che si è
fatto: una "muffa",
un "intruso",
una "smagliatura",
una "scarpetta"…
Per cui si può dire che il lavoro
verte prima
di tutto su una ricerca prettamente
pittorica.
La pittura in primis. (Anche
se in realtà
il processo di produzione dell'opera
abbraccia
anche la tecnica della fotografia).
Ma al di là dell'analisi di questa
pittura
non si può non percepire anche
un senso di
brio e allegria in questi "esseri".
Certo, si toccano implicitamente
vari temi
come il rapporto uomo e natura,
natura e
scienza, uomo e scienza, senza
risparmiarci
dal gettare un'ombra "oscura"
su
tutto ciò. Si introduce forse
ad un concetto
di Natura sempre più artificiale,
sempre
più regolata dall'uomo e quindi
sempre più
costruita e sempre meno naturale.
Ma se questo
si fa, è senza troppi accenti
catastrofici
o apocalittici. E, semmai fosse,
con il piglio
di chi in questa "catastrofe"
riesce
comunque a trovar modo di esprimere
la componente
ludica insita nella creazione
e nella vita.
E' un mondo fantastico in cui
si gioca alla
possibilità della creazione.
D'altra parte, la stessa ricerca
scientifica
non potrebbe considerarsi come
"gioco"
di ipotesi, supposizioni, sperimentazioni?
Pittura che esprime tutto il
gioco che sta
nel creare, ma su cui inevitabilmente
aleggia
l'ombra del reale.
In ogni gioco che si rispetti
infatti c'è
sempre un cattivo.
Valeria Cassol
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Arianna Piazza "S.T." 2008
acrilico su tela cm. 100 x 120 |
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Arianna Piazza "S.T." 2009 tecnica mista su tela cm. 80 x 120 |
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Arianna Piazza "intruso" 2008
acrilico su tela cm. 100 x 120 |
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Arianna Piazza "muffa" 2008
acrilico su tela cm. 100 x 120
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