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Fabio Moro "death angel" 2006
matita su carta gr.300
120 x 150 cm |
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Fabio Moro "untitled" 2006
matita su carta gr.300
100 x 70 cm |
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Fabio Moro "untitled #1" 2006
matita su carta gr.300
100 x 70 cm |
Troviamo nuovamente unite fotografia e pittura
nelle immagini di Fabio Moro. E’ ormai la
seconda, però, che imita la prima. Armato
solo di grafite e del suo agile tratto, Fabio
riproduce su carta bianca ritratti e paesaggi
che sembrano foto in bianco e nero. Con i
suoi delicati passaggi sfumati e i contorni
tremuli, però, Moro sfugge ad una presentazione
analitica, iperrealista del soggetto per
ottenere un effetto più vago, lirico, filtrato
non dall’occhio freddo e distaccato dell’obiettivo,
ma dal suo sguardo riflessivo e indagatore.
Anima e corpo dei soggetti sono delineati
dalla sua mano, alcune volte più delicata
ed eterea, altre più irrequieta ed energica:
la tecnica del fuori fuoco viene sostituita
dallo sdoppiamento delle linee e da un espressivo
chiaroscuro.
Oltre che su carta l’artista
riproduce lo
stesso effetto di distorsione
con un'altra
tecnica molto efficace che consiste
nel sovrapporre
diverse stampe dello stesso disegno
e poi
schiacciarle tra vetri. Il tutto
viene poi
incorniciato assumendo quasi
l’aspetto di
uno specchio riflettente la stessa
figura
in trasparenza: la vaghezza dell’immagine
è conservata e si accentuano
profondità e
impatto nonostante il piccolo
formato.
Per le figure femminili è facile
un paragone
con i corpi di Schiele, non solo
per affinità
di tratto e soggetto, ma anche
per la dichiarazione
di un certo disagio interiore
che si estrinseca
sul loro fisico e nelle tecniche
di distorsione
adottate dall’artista. Altre
figure sembrano
discendere dai personaggi derelitti
che popolavano
già quadri Impressionisti come
“L’assenzio”
di Degas. Proprio Degas era anche
un grande
appassionato di fotografia e
di corpi in
movimento esposti alla luce:
certi bagliori
riprodotti da Fabio sui vestiti
o sulle esili
gambe delle sue modelle ricordano
quelli
che investono le sue ballerine
sul palco.
Elisa Scuto |
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Fabio Moro "untitled #2" 2006
acrilico su carta
100 x 70 cm
Collezione privata
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"Il nostro corpo è diventato il luogo della
nostra falsificazione"
(Umberto Galimberti)
Cos'è il corpo, il mio corpo, se non il luogo
dell'autenticità?
In quanto tale, è la prima vittima della
virtualizzazione della realtà nel mondo contemporaneo,
in cui la realtà autentica è ormai "fuori
campo", "fuori luogo", oscurata
da una realtà virtuale preconfezionata.
Non siamo più il nostro corpo, ma esso è
ormai soltanto l'oggetto
del nostro "accanimento estetico"
nell'illusione di una eterna giovinezza,
l'oggetto ossessivo della nostra ansia da
prestazione, lo specchio del nostro narcisismo:
per mascherare il suo reale processo temporale
e vitale (la vecchiaia, la malattia, la morte),
fissarlo nell'ideale perverso dei modelli
perfetti imposti dalla pubblicità,
nella società mediatica e consumistica.
Il corpo è la merce privilegiata della società
dei consumi e del suo
linguaggio totale, la pubblicità:
spogliato
del suo senso, della sua
opacità, della sua consistenza
(nel senso
anche di "stare con",
in una
rete di relazioni umane autentiche)
per divenire
trasparenza
superficiale, senza profondità,
fissato nella
sua istantaneità.
Un corpo-manichino da allestire su un modello
di bellezza artificiale e seriale, svuotandolo
del suo significato simbolico (in quanto
situato in uno specifico contesto storico-culturale)
e separandolo dal nostro essere più proprio.
Per alimentare questo sistema, il marketing
impone un modello, una
forma, che sono ormai la matrice comune
delle idee e delle merci: di qui serialità, standardizzazione, conformismo.
il corpo si identifica con la sua immagine
in un mondo virtuale autoreferenziale: uno
specchio che riflette immagini in altri specchi.
Un'immagine destinata al pubblico, al consumatore-spettatore,
che in essa finisce per identificarsi egli
stesso come mera immagine.
Il corpo è manipolato (superficiale, immateriale)
nella pubblicità, che mira a radicare desideri
nell'immaginario collettivo. Un mondo virtuale
in cui gli individui sono smaterializzati,
senza peso, trasparenti, senza "ombra",
simbolo della negatività e della morte, rimosse
dalla società contemporanea. La realtà, con
le sue imperfezioni e contraddizioni, è depurata
con un modello ideale di perfezione: l'iperreale,
le cui immagini-modelli plasmano il pensiero
e il comportamento nella vita quotidiana.
Un mondo irreale che si sovrappone alla realtà
del mondo, il reale proiettato nel suo doppio
simulato, con i suoi "simulacri imbiancati".
Il virtuale ha così ucciso la realtà e la
sua immaginazione (illusioni, simboli, fantasie):
l'immaginario, il sogno sono ormai realizzati,
iper-realizzati, nella dimensione virtuale.
Angelo Caputo
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Fabio Moro "doll" 2006
olio su carta
120 x 150 cm
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Fabio Moro "untitled #3" 2006
matita su carta gr.300
100 x 70 cm |
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Fabio Moro "untitled #4" 2006
matita su carta gr.300
100 x 70 cm |
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Fabio Moro "untitled #5" 2006
matita su carta gr.300
100 x 70 cm |
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