Piziarte Arte Contemporanea

BODY AREA
AZIZ + CUCHER, ROBERT GLIGOROV, MEGHAN BOODY, JANIETA EYRE, YANG ZHENZHONG,
INEZ VAN LAMSWEERDE, TIMOTHY GREENFIELD-SANDERS, RICHARD KERN, IZIMA KAORU, ANDRES SERRANO

a cura di Manuela Cucinella, Patrizia Cucinella e Flavio Reali








PiziArte galleria d'arte contemporanea Teramo

IZIMA KAORU "H.Fumie by Tiffany"
ed. 5 anno 1998
foto digitale cm. 132 x 105











IZIMA KAORU "M.Yasuko, by Gucci"
ed 5 anno 1998
foto digitale cm. 52 x 42











IZIMA KAORU "O.Aya wears Ery Matsui"
ed 5 anno 2002
fotografia digitale cm. 52 x 42









IZIMA KAORU

L'artista giapponese propone spesso opere inedite di imponenti dimensioni, opere che nascono dalla collaborazione tra il fotografo e famosi stilisti quali John Galliano, Vivienne Westwood, Yohji Yamamoto, Prada.
Kaoru cristallizza la morte in uno scatto, una sorta di istantanea che introduce sullo sfondo evocativo-naturale (boschi,alberi,fiori,ruscelli) la protagonista umana, curando la scelta dei tessuti e i contrasti cromatici nei minimi dettagli.
Le fotografie, forti e d'impatto, sono allo stesso tempo poetiche.
Nelle opere di Izima, la morte viene indagata da un punto di vista tipico della cultura orientale, con delicatezza e armonia.
Le immagini, prive di ogni provocazione, colpiscono lo sguardo in maniera sottile e profonda.

Il fotografo di Kyoto lavora prevalentemente con attrici/modelle orientali; chiede loro di immaginarsi la propria morte e pensare inoltre da quale stilista vorrebbero essere vestite, in quel giorno.
Forse non sbaglia Achille Bonito Oliva quando afferma che:
"la moda veste l'uomo, mentre l'arte mette a nudo la sua anima"









JANIETA EYRE "ALBATROS"
ed. 3 anno 1996
fotografia digitale cm. 125 x 100












JANIETA EYRE "PORTRAIT OF THE E.CARR"
ed 2/3
fotografia digitale cm 78x90









JANIETA EYRE

La finzione si traveste sovente da realtà.
Ritrarre se stessi non equivale necessariamente a realizzare un autoritratto fedele.
Janieta Eyre



Janieta Eyre racconta di essere nata con il retro del cranio unito a quello di sua sorella Sara, da cui fu separata all'età di sei mesi, in seguito ad un intervento chirurgico durato quarantotto ore.
A causa dell'operazione Sara morì e da allora Janieta soffre di allucinazioni che hanno indubbiamente influenzato il suo lavoro.
Il lavoro della Eyre affronta la questione dell'identità: l'artista, che si ritrae fotograficamente accostata ad un'immaginaria gemella, indaga l'io, mediante la duplicazione virtuale del proprio se, usando macchine di medio formato e utilizzando una tecnica che l'ha affascinata da quando era studente: quella della doppia esposizione accostata.

Nelle mie opere non c'è un corpo originale e una copia di esso, ma ci sono solo sosia .

Ma, non solo i sosia, cioè gli attori del suo set, sono importanti, fondamentali sono anche le coreografie, sfondi onirici per i suoi soggetti.
Gli ambienti irreali, caratteristica costante, del suo lavoro sono costruiti con molta cura, le pareti delle stanze vengono dipinte con colori accesi, trucco, luci, abiti d'epoca e oggetti tipici dell'infanzia.
L'autrice stessa, crea i set meticolosamente, eseguendo e reperendo, sia i vestiti, sia gli oggetti che reputa necessari; oggetti solitamente di uso casalingo.
"Le mie fotografie mostrano momenti banali di vite non esistenti" .

Ogni immagine è una sorta di ritratto dove due sosia appaiono in diversi costumi.
Una grande attenzione è rivolta all'effetto che i vestiti hanno su ognuno dei soggetti, gli abiti hanno una grande importanza per l'artista, in quanto deformano l'individuo, ci "travestono" e ci aiutano ad interpretare il nostro ruolo quotidiano.
Ma che cosa distingue i lavori di questa artista, dalle molte immagini, che nel corso degli anni novanta, hanno affrontato il tema del doppio, del travestimento, dell'identità, del rapporto tra realtà e finzione?
Innanzi tutto credo che le sue immagini siano permeate di uno humor nero, degno dei migliori racconti Jonathan Swift, le scene preparate dalla Eyre, contengono, infatti, nella maggior parte dei casi un elemento tragico, o fortemente inquietante; elemento che emerge dalle stesse figure recitanti, alle prese con evidenti problemi fisici o psicologici.
Ma proprio la presenza ossessiva di questi elementi (si pensi ai doppi), dona alla scena un'essenza grottesca e suggerisce la presenza di un regista esterno (in questo caso l'artista) che, mentre riprende la scena, da lei stessa costruita, ne avverte l'insensatezza e l'improbabilità.
Due sono, sostanzialmente, gli elementi portanti della scena delle sue fotografie, l'uno macroscopico (l'ambiente), l'altro più sottile (i personaggi), ma non per questo meno importante.
Assistiamo all'incongruenza dei singoli brani che compongono l'interno, brani volutamente accostati in totale dispregio di qualsiasi "bon ton" arredatorio.
Eccessivi i personaggi, eccessivi gli ambienti, sovraccarichi di segni, di forme, dove il cattivo gusto convive con estreme raffinatezze, dove i simboli si sovrappongono sino ad elidersi a vicenda.
Il risultato finale appare come un gigantesco non senso, nel quale ogni interpretazione sembra essere legittima.
Carattere costitutivo di queste opere è, anche, l'equilibrio tra l'invenzione e la verosimiglianza.
Per raggiungere questo risultato la Eyre si serve dell'elemento teatrale e di quello realistico, quasi documentario, per via dell'assoluto rigore con il quale le
scene sono costruite (fig. 31).
Per ciò, la sua arte è come una forma di performance: tutto ciò che avviene prima dello scatto fa parte della fotografia stessa.
Così queste fotografie, non sembrano autoritratti ma "immagini attinte dai ricordi di sconosciuti".









RICHARD KERN "joyce and kim wave "
ed 10 anno 1999
CIBACHROME cm. 67X92











RICHARD KERN "marissa's towel"
ed. 10 anno 1998
CIBACHROME cm. 35x50











RICHARD KERN "Monica on table in red light"
ed 10 anno 1993
CIBACHROME cm. 35x50









Richard Kern

"Potreste vederla così: la modella è un'esibizionista ed io sono il guardone".

E' incorreggibile, minimale, violento e poetico: le sue fotografie trattano male l'erotismo sfiorando in alcuni casi la beffa.
L'arte di Richard Kern è nella ricostruzione confortevole di un luogo della mente in cui far accadere gli eventi: la realtà, pura e semplice. Autore molto seguito dalla critica propone audaci foto di modelle in situazioni provocanti.
Kern è un artista di cortometraggi e fotografie considerati pietre miliari della cultura underground: l'autore mostra le sue modelle mentre si truccano, si mettono il collirio, vomitano, fumano spinelli o giacciono nude sul marciapiede coperte di sangue come fossero vittime d'omicidi sessuali.

Le ragazze di Kern ridono di chi le guarda a bocca aperta non capendo, perché l'opera dell'autore non ha un significato, non vuole istruire e neppure sconvolgere: vuole riportare il ritmo sordo, tagliente ed effimero che le modelle ci sbattono in faccia mischiando nudità e castità, sublime ed osceno, sensualità ed oltraggio.
Richard Kern è nato nel 1954 a Roanoke Rapids, nel North Carolina e si è trasferito a New York nel 1979.
Ha raggiunto la notorietà negli ambienti artistici underground per la sua fotografia violenta e feroce, ed è divenuto famoso grazie ai suoi cortometraggi in super8 dai contenuti oltraggiosi.
Alla presentazione al pubblico le sue proiezioni sono state spesso interrotte a causa di risse e proteste, sfociando in alcuni casi in denuncie e processi.









AZIZ + CUCHER "PLASMORPHICA"
ed 5 anno 1996
foto digitale cm. 80 x 105











AZIZ + CUCHER "TRANSMORPHICA"
ed 5 anno 1998/9
foto digitale cm 70 x 140









AZIZ + CUCHER

La storia dell' uomo è la storia di una progressiva artificializzazione del corpo e della creazione di nuovi artefatti destinati a supplire e a completare le naturali mancanze prestazionali di esso.
Nasce così intorno ad esso una variegata cintura di protesi: protesi motorie, sensorie e intellettive. Il corpo diventa in definitiva protesico, ma tale corpo non ha solo il compito di renderci più facile il rapporto con l'ambiente, esso è anche un formidabile strumento conoscitivo della realtà.
Questo fantastico strumento di conoscenza, al tempo stesso vulnerabile e talvolta inadeguato (obsoleto, come lo definirebbe Stelarc), convive ormai da anni, e si evolve con le nostre invenzioni tecnologiche.
Questo fatto innegabile è stato input e oggetto di sperimentazione per molti artisti che si chiedono: fino a che punto e in che misura, l'organico può essere simbiotico all'inorganico, la carne al metallo, il corpo all'artificiale?


Sammy Cucher, di origine venezuelana, e Anthony Aziz nord africano, hanno rinnovato radicalmente il genere classico del ritratto, privandolo dei suoi dati oggettivi e di tutte le sue virtù personali.
Picasso ha dimostrato che una faccia ha due occhi, un naso e una bocca e che si possono disporre a piacere pur senza sopprimerli, Francis Bacon ha dipinto bocche senza faccia; Aziz e Cucher ci mostrano delle figure fredde, senza orifizi, ma rugose, chiuse in se stesse in un'indicibile sofferenza .

Fede onore e bellezza, il loro primo lavoro del 1992, presenta degli individui dal corpo perfetto, in accordo con i canoni standard e gli stereotipi della bellezza, caratterizzati da oggetti più o meno quotidiani quali: mazze da baseball, computer portatile, pellicce di visone.
Questi individui però sono sterilizzati, privati dei loro attributi sessuali e dunque incapaci di procreare.
Questa agenia (che ritroviamo anche in Dystopia) raggiunge poi la faccia ( viso liscio, rasato, senza tratti specifici ), giacchè ai soggetti delle foto viene negato il rapporto che lega interno ed esterno, occludendo loro gli orifizi del viso. Così, l' individuo privato dei sensi non è più in grado di percepire e quindi di conoscere.
Se in Dystopia (biennale 95, pad. Venezuela ) abbiamo l' incapacità di esprimersi dell' individuo, la disumanizzazione dell' uomo, in Plasmorphica troviamo peraltro oggetti quotidiani simbiotici all' uomo, in quanto ideali prolungamenti di quest' ultimo (fig. 8 e 9).
Per creare le suppellettili, che in seguito verranno fotografate, si ricorre a un processo molto elaborato che coinvolge una equipe di persone.
Dapprima si crea il calco dell' oggetto, poi lo si riempie di una resina plastificata che solidificandosi dà volume al calco, infine si fa aderire perfettamente uno strato di pelle sintetica al solido creato. Per rendere organici questi oggetti antropomorfi si usa la stessa pelle utilizzata per fabbricare le protesi artificiali degli arti. Con la loro ultima creazione Transmorphica, emerge l' aspetto più dionisiaco della loro cultura classica, come amano definirlo i due eclettici artisti: la violenza della forma, la furia, la follia combinatoria.

I medesimi oggetti della serie Plasmorphica, vengono stavolta ricoperti di un involucro non più artificiale, ma epidermico, prelevato fotograficamente da parti del corpo umano. Queste due chimere hanno la forza degli idoli antichi, dei totem indiani, non parlano, non rispondono, ma stimolano catarticamente l' immaginazione.
Volutamente in rilievo, privi di cornice escono prepotentemente dal foglio di alluminio, su cui sono state applicate, per interagire con chi le guarda e con chi le interroga.

Da sempre affascinati dal classicismo, dall'armonia e dalla "mesotes" greca, cercano di trovare un equilibrio tra uomo e macchina, tra individuo e tecnologia.
Senza demonizzare quest'ultima (punto di partenza indispensabile del loro lavoro) e lontani da ogni moralismo, cercano solo di trovare un punto di incontro tra l'uomo contemporaneo, moderno demiurgo e ciò che ha creato per migliorare la propria esistenza .









YANG ZHENZHONG "LUCKY FAMILY"
ed 3/10 anno 1994
foto digitale cm. 63 x 63









YANG ZHENZHONG
Hangzhou, 1968
Vive e lavora a Shanghai, Cina
Diplomatosi in pittura alla China Fine Arts Academy di Hangzhou nel 1993, Yang Zhenzhong si dedica ai video e alla fotografica a partire dal 1995. Ha partecipato a prestigiose biennali e triennali tra cui quella di Venezia del 2003 e quelle di Shanghai, Guangzhou e Gwangju nel 2002. I suoi lavori, sempre guidati dal desiderio di analizzare e sovvertire le regole del vivere sociale, affrontano temi estremamente attuali, a volte tabù: nel video (I Know) I will Die del 2000, fa pronunciare a diverse persone la frase "Morirò" davanti alla telecamera; nel successivo 922 Grains of Rice, il beccare continuo di un gallo e una gallina, accompagnato da una voce maschile e una femminile che tengono il conto dei rispettivi chicchi mangiati, simula con ironia la guerra tra sessi; in Let's Puff l'artista pone in relazione il respiro di una giovane donna con l'immagine di una strada trafficata che, ad ogni espirazione, si allontana progressivamente.
Nella serie fotografica Light and Easy i più pesanti elementi del paesaggio urbano, dai distributori di bibite alle macchine della polizia, dai chioschi dei giornali ai trattori, vengono trasformati in attrezzi da giocoliere e
tenuti in bilico sulla punta delle dita dai passanti delle strade cittadine. Yang Zhenzhong con le sue fotografie provocatorie e surreali in "LUCKY FAMILY" propone la leggerezza come chiave di lettura ironica degli epocali mutamenti della Cina.









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