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IZIMA KAORU "H.Fumie by Tiffany"
ed. 5 anno 1998
foto digitale cm. 132 x 105 |
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IZIMA KAORU "M.Yasuko, by Gucci"
ed 5 anno 1998
foto digitale cm. 52 x 42 |
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IZIMA KAORU "O.Aya wears Ery Matsui"
ed 5 anno 2002
fotografia digitale cm. 52 x
42 |
IZIMA KAORU
L'artista giapponese propone
spesso opere
inedite di imponenti dimensioni,
opere che
nascono dalla collaborazione
tra il fotografo
e famosi stilisti quali John
Galliano, Vivienne
Westwood, Yohji Yamamoto, Prada.
Kaoru cristallizza la morte in
uno scatto,
una sorta di istantanea che introduce
sullo
sfondo evocativo-naturale (boschi,alberi,fiori,ruscelli)
la protagonista umana, curando
la scelta
dei tessuti e i contrasti cromatici
nei minimi
dettagli.
Le fotografie, forti e d'impatto,
sono allo
stesso tempo poetiche.
Nelle opere di Izima, la morte
viene indagata
da un punto di vista tipico della
cultura
orientale, con delicatezza e
armonia.
Le immagini, prive di ogni provocazione,
colpiscono lo sguardo in maniera
sottile
e profonda.
Il fotografo di Kyoto lavora
prevalentemente
con attrici/modelle orientali;
chiede loro
di immaginarsi la propria morte
e pensare
inoltre da quale stilista vorrebbero
essere
vestite, in quel giorno.
Forse non sbaglia Achille Bonito Oliva quando afferma che:
"la moda veste l'uomo, mentre l'arte mette a nudo la sua anima"
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JANIETA EYRE "ALBATROS"
ed. 3 anno 1996
fotografia digitale cm. 125 x
100 |
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JANIETA EYRE "PORTRAIT OF THE E.CARR"
ed 2/3
fotografia digitale cm 78x90 |
JANIETA EYRE
La finzione si traveste sovente
da realtà.
Ritrarre se stessi non equivale
necessariamente
a realizzare un autoritratto
fedele.
Janieta Eyre
Janieta Eyre racconta di essere
nata con
il retro del cranio unito a quello
di sua
sorella Sara, da cui fu separata
all'età
di sei mesi, in seguito ad un
intervento
chirurgico durato quarantotto
ore.
A causa dell'operazione Sara
morì e da allora
Janieta soffre di allucinazioni
che hanno
indubbiamente influenzato il
suo lavoro.
Il lavoro della Eyre affronta
la questione
dell'identità: l'artista, che
si ritrae fotograficamente
accostata ad un'immaginaria gemella,
indaga
l'io, mediante la duplicazione
virtuale del
proprio se, usando macchine di
medio formato
e utilizzando una tecnica che
l'ha affascinata
da quando era studente: quella
della doppia
esposizione accostata.
Nelle mie opere non c'è un corpo
originale
e una copia di esso, ma ci sono
solo sosia
.
Ma, non solo i sosia, cioè gli
attori del
suo set, sono importanti, fondamentali
sono
anche le coreografie, sfondi
onirici per
i suoi soggetti.
Gli ambienti irreali, caratteristica
costante,
del suo lavoro sono costruiti
con molta cura,
le pareti delle stanze vengono
dipinte con
colori accesi, trucco, luci,
abiti d'epoca
e oggetti tipici dell'infanzia.
L'autrice stessa, crea i set
meticolosamente,
eseguendo e reperendo, sia i
vestiti, sia
gli oggetti che reputa necessari;
oggetti
solitamente di uso casalingo.
"Le mie fotografie mostrano momenti
banali di vite non esistenti" .
Ogni immagine è una sorta di
ritratto dove
due sosia appaiono in diversi
costumi.
Una grande attenzione è rivolta
all'effetto
che i vestiti hanno su ognuno
dei soggetti,
gli abiti hanno una grande importanza
per
l'artista, in quanto deformano
l'individuo,
ci "travestono" e ci
aiutano ad
interpretare il nostro ruolo
quotidiano.
Ma che cosa distingue i lavori
di questa
artista, dalle molte immagini,
che nel corso
degli anni novanta, hanno affrontato
il tema
del doppio, del travestimento,
dell'identità,
del rapporto tra realtà e finzione?
Innanzi tutto credo che le sue
immagini siano
permeate di uno humor nero, degno
dei migliori
racconti Jonathan Swift, le scene
preparate
dalla Eyre, contengono, infatti,
nella maggior
parte dei casi un elemento tragico,
o fortemente
inquietante; elemento che emerge
dalle stesse
figure recitanti, alle prese
con evidenti
problemi fisici o psicologici.
Ma proprio la presenza ossessiva
di questi
elementi (si pensi ai doppi),
dona alla scena
un'essenza grottesca e suggerisce
la presenza
di un regista esterno (in questo
caso l'artista)
che, mentre riprende la scena,
da lei stessa
costruita, ne avverte l'insensatezza
e l'improbabilità.
Due sono, sostanzialmente, gli
elementi portanti
della scena delle sue fotografie,
l'uno macroscopico
(l'ambiente), l'altro più sottile
(i personaggi),
ma non per questo meno importante.
Assistiamo all'incongruenza dei
singoli brani
che compongono l'interno, brani
volutamente
accostati in totale dispregio
di qualsiasi
"bon ton" arredatorio.
Eccessivi i personaggi, eccessivi
gli ambienti,
sovraccarichi di segni, di forme,
dove il
cattivo gusto convive con estreme
raffinatezze,
dove i simboli si sovrappongono
sino ad elidersi
a vicenda.
Il risultato finale appare come
un gigantesco
non senso, nel quale ogni interpretazione
sembra essere legittima.
Carattere costitutivo di queste
opere è,
anche, l'equilibrio tra l'invenzione
e la
verosimiglianza.
Per raggiungere questo risultato
la Eyre
si serve dell'elemento teatrale
e di quello
realistico, quasi documentario,
per via dell'assoluto
rigore con il quale le
scene sono costruite (fig. 31).
Per ciò, la sua arte è come una
forma di
performance: tutto ciò che avviene
prima
dello scatto fa parte della fotografia
stessa.
Così queste fotografie, non sembrano autoritratti
ma "immagini attinte dai ricordi di
sconosciuti".
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RICHARD KERN "joyce and kim wave "
ed 10 anno 1999
CIBACHROME cm. 67X92 |
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RICHARD KERN "marissa's towel"
ed. 10 anno 1998
CIBACHROME cm. 35x50
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RICHARD KERN "Monica on table in red
light"
ed 10 anno 1993
CIBACHROME cm. 35x50 |
Richard Kern
"Potreste vederla così: la modella è un'esibizionista
ed io sono il guardone".
E' incorreggibile, minimale,
violento e poetico:
le sue fotografie trattano male
l'erotismo
sfiorando in alcuni casi la beffa.
L'arte di Richard Kern è nella
ricostruzione
confortevole di un luogo della
mente in cui
far accadere gli eventi: la realtà,
pura
e semplice. Autore molto seguito
dalla critica
propone audaci foto di modelle
in situazioni
provocanti.
Kern è un artista di cortometraggi
e fotografie
considerati pietre miliari della
cultura
underground: l'autore mostra
le sue modelle
mentre si truccano, si mettono
il collirio,
vomitano, fumano spinelli o giacciono
nude
sul marciapiede coperte di sangue
come fossero
vittime d'omicidi sessuali.
Le ragazze di Kern ridono di chi le guarda
a bocca aperta non capendo, perché l'opera dell'autore
non ha un significato, non vuole istruire
e neppure sconvolgere: vuole riportare il
ritmo sordo, tagliente ed effimero che le
modelle ci sbattono in faccia mischiando
nudità e castità, sublime ed osceno, sensualità
ed oltraggio.
Richard Kern è nato nel 1954
a Roanoke Rapids,
nel North Carolina e si è trasferito
a New
York nel 1979.
Ha raggiunto la notorietà negli ambienti
artistici underground per la sua fotografia
violenta e feroce, ed è divenuto famoso grazie
ai suoi cortometraggi in super8 dai contenuti
oltraggiosi.
Alla presentazione al pubblico
le sue proiezioni
sono state spesso interrotte
a causa di risse
e proteste, sfociando in alcuni
casi in denuncie
e processi.
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AZIZ + CUCHER "PLASMORPHICA"
ed 5 anno 1996
foto digitale cm. 80 x 105 |
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AZIZ + CUCHER "TRANSMORPHICA"
ed 5 anno 1998/9
foto digitale cm 70 x 140 |
AZIZ + CUCHER
La storia dell' uomo è la storia
di una progressiva
artificializzazione del corpo
e della creazione
di nuovi artefatti destinati
a supplire e
a completare le naturali mancanze
prestazionali
di esso.
Nasce così intorno ad esso una
variegata
cintura di protesi: protesi motorie,
sensorie
e intellettive. Il corpo diventa
in definitiva
protesico, ma tale corpo non
ha solo il compito
di renderci più facile il rapporto
con l'ambiente,
esso è anche un formidabile strumento
conoscitivo
della realtà.
Questo fantastico strumento di
conoscenza,
al tempo stesso vulnerabile e
talvolta inadeguato
(obsoleto, come lo definirebbe
Stelarc),
convive ormai da anni, e si evolve
con le
nostre invenzioni tecnologiche.
Questo fatto innegabile è stato
input e oggetto
di sperimentazione per molti
artisti che
si chiedono: fino a che punto
e in che misura,
l'organico può essere simbiotico
all'inorganico,
la carne al metallo, il corpo
all'artificiale?
Sammy Cucher, di origine venezuelana, e Anthony Aziz nord africano, hanno rinnovato radicalmente
il genere classico del ritratto,
privandolo
dei suoi dati oggettivi e di
tutte le sue
virtù personali.
Picasso ha dimostrato che una
faccia ha due
occhi, un naso e una bocca e
che si possono
disporre a piacere pur senza
sopprimerli,
Francis Bacon ha dipinto bocche
senza faccia;
Aziz e Cucher ci mostrano delle
figure fredde,
senza orifizi, ma rugose, chiuse
in se stesse
in un'indicibile sofferenza .
Fede onore e bellezza, il loro primo lavoro del 1992, presenta
degli individui dal corpo perfetto,
in accordo
con i canoni standard e gli stereotipi
della
bellezza, caratterizzati da oggetti
più o
meno quotidiani quali: mazze
da baseball,
computer portatile, pellicce
di visone.
Questi individui però sono sterilizzati,
privati dei loro attributi sessuali
e dunque
incapaci di procreare.
Questa agenia (che ritroviamo
anche in Dystopia) raggiunge poi la faccia ( viso liscio,
rasato, senza tratti specifici
), giacchè
ai soggetti delle foto viene
negato il rapporto
che lega interno ed esterno,
occludendo loro
gli orifizi del viso. Così, l'
individuo
privato dei sensi non è più in
grado di percepire
e quindi di conoscere.
Se in Dystopia (biennale 95, pad. Venezuela ) abbiamo l' incapacità di esprimersi dell'
individuo, la disumanizzazione
dell' uomo,
in Plasmorphica troviamo peraltro oggetti quotidiani simbiotici
all' uomo, in quanto ideali prolungamenti
di quest' ultimo (fig. 8 e 9).
Per creare le suppellettili,
che in seguito
verranno fotografate, si ricorre
a un processo
molto elaborato che coinvolge
una equipe
di persone.
Dapprima si crea il calco dell'
oggetto,
poi lo si riempie di una resina
plastificata
che solidificandosi dà volume
al calco, infine
si fa aderire perfettamente uno
strato di
pelle sintetica al solido creato.
Per rendere
organici questi oggetti antropomorfi
si usa
la stessa pelle utilizzata per
fabbricare
le protesi artificiali degli
arti. Con la
loro ultima creazione Transmorphica, emerge l' aspetto più dionisiaco della
loro cultura classica, come amano
definirlo
i due eclettici artisti: la violenza
della
forma, la furia, la follia combinatoria.
I medesimi oggetti della serie
Plasmorphica, vengono stavolta ricoperti di un involucro
non più artificiale, ma epidermico,
prelevato
fotograficamente da parti del
corpo umano.
Queste due chimere hanno la forza
degli idoli
antichi, dei totem indiani, non
parlano,
non rispondono, ma stimolano
catarticamente
l' immaginazione.
Volutamente in rilievo, privi
di cornice
escono prepotentemente dal foglio
di alluminio,
su cui sono state applicate,
per interagire
con chi le guarda e con chi le
interroga.
Da sempre affascinati dal classicismo,
dall'armonia
e dalla "mesotes" greca,
cercano
di trovare un equilibrio tra
uomo e macchina,
tra individuo e tecnologia.
Senza demonizzare quest'ultima
(punto di
partenza indispensabile del loro
lavoro)
e lontani da ogni moralismo,
cercano solo
di trovare un punto di incontro
tra l'uomo
contemporaneo, moderno demiurgo
e ciò che
ha creato per migliorare la propria
esistenza
.
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YANG ZHENZHONG "LUCKY FAMILY"
ed 3/10 anno 1994
foto digitale cm. 63 x 63 |
YANG ZHENZHONG
Hangzhou, 1968
Vive e lavora a Shanghai, Cina
Diplomatosi in pittura alla China
Fine Arts
Academy di Hangzhou nel 1993,
Yang Zhenzhong si dedica ai video e alla
fotografica a partire dal 1995. Ha
partecipato a prestigiose biennali e triennali
tra cui quella di Venezia del
2003 e quelle di Shanghai, Guangzhou
e Gwangju
nel 2002. I suoi lavori,
sempre guidati dal desiderio
di analizzare
e sovvertire le regole del vivere
sociale, affrontano temi estremamente
attuali,
a volte tabù: nel video (I
Know) I will Die del 2000, fa
pronunciare
a diverse persone la frase
"Morirò" davanti alla
telecamera;
nel successivo 922 Grains of
Rice, il
beccare continuo di un gallo e una gallina,
accompagnato da una voce
maschile e una femminile che
tengono il conto
dei rispettivi chicchi
mangiati, simula con ironia la
guerra tra
sessi; in Let's Puff l'artista
pone in relazione il respiro
di una giovane
donna con l'immagine di una
strada trafficata che, ad ogni
espirazione,
si allontana progressivamente.
Nella serie fotografica Light
and Easy i
più pesanti elementi del paesaggio
urbano, dai distributori di bibite
alle macchine
della polizia, dai chioschi
dei giornali ai trattori, vengono
trasformati
in attrezzi da giocoliere e
tenuti in bilico sulla punta
delle dita dai
passanti delle strade cittadine.
Yang Zhenzhong con le sue fotografie provocatorie
e surreali in "LUCKY
FAMILY" propone la leggerezza
come chiave
di lettura ironica degli epocali
mutamenti della Cina.
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